02/11/14

John Maynard Keynes è l'economista di cui il mondo ha bisogno adesso

Su BloombergBusinessWeek, un elogio delle politiche keynesiane e di John Maynard Keynes stesso, mai così attuale e necessario come oggi, nella crisi da deflazione che, dopo aver affossato l'eurozona, rischia di diventare globale e in cui le ricette economiche supply-side stanno mostrando tutti i loro limiti teorici e ideologici.


di Peter Coy, 30 Ottobre 2014

C'è un medico in casa? L'economia globale non riesce a crescere, e i suoi custodi stanno andando a tentoni. La Grecia ha preso la  medicina prescritta ed è stata ricompensata con un tasso di disoccupazione del 26 per cento. Il Portogallo ha obbedito alle regole di bilancio e i suoi cittadini sono alla ricerca di posti di lavoro in Angola e Mozambico, perché a casa ce ne sono ben pochi. I tedeschi si sentono anemici nonostante il loro enorme surplus commerciale. Secondo Sentier Research, negli Stati Uniti il reddito di una famiglia media al netto dell'inflazione è del 3 per cento inferiore a quello del momento peggiore della crisi 2007-09. Qualunque sia la medicina somministrata, non sta funzionando. Il capo economista di Citigroup Willem Buiter ha recentemente descritto la politica della Banca di Inghilterra come "un pout-pourri intellettuale di fattoidi, teorie parziali, metodicità empirica senza alcuna base teorica solida, presentimenti, intuizioni e idee sviluppate solo a metà." E questo, ha detto, è anche meglio di quello che altri paesi stanno tentando . 

C'è un medico in casa, e le sue prescrizioni sono più che mai attuali. È vero, lui è morto nel 1946. Ma anche se appartiene al passato, l'economista, investitore, e funzionario britannico John Maynard Keynes ha molto da insegnarci su come salvare l'economia globale, ben più di quanto possa fare un esercito di moderni dottorati di ricerca dotati di modelli di equilibrio generale stocastico dinamico. I sintomi della Grande Depressione che ha diagnosticato correttamente sono tornati, anche se per fortuna in scala minore (sic!, ndt): disoccupazione cronica, deflazione, guerre valutarie, e politiche economiche "beggar-thy-neighbor".

Una delle intuizioni essenziali e durature di Keynes è che ciò che funziona per una singola famiglia in tempi difficili non funziona per l'economia globale. Una famiglia il cui capofamiglia perde un posto di lavoro può e deve tagliare la spesa per sbarcare il lunario. Ma non tutti possono farlo contemporaneamente quando c'è una debolezza  generalizzata, perché la spesa di una persona è il reddito di un'altra. Più le persone riducono la spesa per aumentare i propri risparmi, tanto più le persone di cui erano soliti pagare i servizi sono costrette a ridurre la loro spesa, e così via in una spirale verso il basso noto come il Paradosso della Parsimonia. Il reddito si riduce così in fretta che il risparmio cala invece di aumentare. Il risultato: disoccupazione di massa.

Keynes diceva che quando le aziende non vogliono investire e i consumatori non vogliono spendere, il governo deve spezzare il pericoloso circolo vizioso aumentando la propria spesa o tagliando le tasse, e in entrambi i casi metterà più soldi nelle tasche dei cittadini. Che non è, contrariamente a quanto alcuni dei suoi critici sostengono, una ricetta per una continua espansione dello stato: Keynes diceva che i governi dovrebbero chiudere in attivo durante i periodi di boom per pagare i loro debiti e assorbire l'eccesso di domanda privata (gli Stati Uniti hanno accumulato piccoli surplus nei due anni di boom sotto l'amministrazione Clinton). Lungi dall'essere un radicale esaltato, diceva che gli economisti dovrebbero aspirare alle umili competenze dei dentisti. Voleva riequilibrare le economie, non rovesciarle.

"Ci sono ancora molte persone in America che considerano le depressioni come una fatalità. Penso che Keynes abbia dimostrato che la responsabilità di questi eventi non è della Provvidenza " ha scritto nel 1969 nella sua autobiografia Bertrand Russell, il filosofo.

L'entusiasmo per Keynes ogni tanto riemerge. L'ultima volta che il  britannico goffo ha fatto colpo era il 2008-09, durante la crisi finanziaria globale. Le persone che avevano preso in prestito in modo stravagante, con le loro case usate come bancomat, nel giro di una notte si erano trasformate in calvinisti finanziari, tagliando le spese per pagare il debito. Amministratori delegati nervosi contemporaneamente tagliavano gli investimenti delle imprese. Questo ha portato ad una mancanza di domanda di beni e servizi. La disoccupazione si è impennata vertiginosamente, raggiungendo il 10 per cento negli Stati Uniti nel 2009. Anche gli economisti conservatori che generalmente evitavano Keynes hanno conosciuto il Paradosso della Parsimonia quando li ha colpiti come un pugno sul naso. "Quando ogni cosa crolla, tutti diventano keynesiani", dice Peter Temin, professore emerito di economia presso il Massachusetts Institute of Technology e co-autore con l'economista dell'Università di Oxford David Vines di un nuovo libro, "Keynes: Useful Economics for the World Economy".

Richard Posner, il giudice d'appello federale sostenitore del libero mercato, nel 2009 ha scritto un articolo per The New Republic dal titolo "Come sono diventato keynesiano". L'economista di Harvard Martin Feldstein, un falco del deficit di lunga data che è stato capo consigliere economico del presidente Reagan, ha scritto un editoriale sul Washington Post nell'ottobre 2008 dicendo: "l'unico modo per evitare una profonda recessione sarà un programma temporaneo di aumento della spesa pubblica." Il febbraio seguente, il Congresso ha approvato uno stimolo da 787 miliardi dollari, anche se più piccolo di quello che sostenevano gli economisti keynesiani e senza i voti repubblicani alla Camera. Anche la Germania, bastione dell'austerità, ha messo da parte i suoi dubbi e ha approvato il pacchetto di stimolo più grande della sua storia.

L'adozione di Keynes indotta dalla crisi ha fatto infuriare gente del calibro del ministro delle finanze tedesco Peter Steinbrück, che si lamentava nel 2008: "le stesse persone che non avrebbero mai fatto spesa in disavanzo adesso stanno buttando giù miliardi...il passaggio da decenni di politica dal lato dell'offerta ad un volgare keynesismo è mozzafiato". John Cochrane della Booth School of Business della University of Chicago ha scritto sul suo sito: "Se credete nell'argomentazione keynesiana per lo stimolo, dovreste pensare a Bernie Madoff come a un eroe. Scherzi a parte, ha preso i soldi da persone che stavano risparmiando, e li ha dati a persone che quasi sicuramente li avrebbero spesi".

La scossa keynesiana all'economia non è durata a lungo. I governi europei hanno fanno perno sull'austerità sulla base della teoria che così facendo avrebbero rassicurato gli investitori e indotto un'ondata di investimenti, creando crescita e occupazione. Non è successo. Gli Stati Uniti sono stati leggermente meno austeri e sono cresciuti un po' più velocemente. Ma anche negli Stati Uniti lo stimolo è svanito rapidamente, nonostante il perdurare di un alto tasso di disoccupazione. Il governo giapponese ha accumulato grandi deficit per compensare l'accumulazione cronica di risparmio da parte delle famiglie e delle imprese, ma nel mese di aprile ha esitato, raffreddando l'incerta ripresa del paese con l'aumento dell'imposta sul valore aggiunto dal 5 all'8 per cento.

Con la politica fiscale assente, le maggiori banche centrali del mondo hanno cercato eroicamente di colmare la lacuna. La Federal Reserve ha tagliato i tassi di interesse quasi a zero, e quando anche questo tentativo è fallito ha provato alcuni nuovi trucchi: l'acquisto di obbligazioni per abbattere i tassi di interesse a lungo termine ("quantitative easing") e la segnalazione al mercato che i tassi sarebbero rimasti bassi anche dopo che l'economia si fosse messa sulla strada della ripresa ("forward guidance"). La scarsa efficacia di tali misure è talvolta mostrata come un fallimento del keynesismo, ma è esattamente l'opposto. Keynes fu l'economista che ha dimostrato che la politica monetaria cessa di essere efficace una volta i tassi di interesse raggiungono lo zero e che raccomandava che la politica in queste circostanze adottasse tagli fiscali e aumenti di spesa.

Quali che siano i fatti economici, la lentezza della ripresa mondiale ha incrinato la fiducia delle persone sulla capacità dei governi di intervenire per riportare il benessere. Nelle elezioni di medio termine degli Stati Uniti, "stimolo" è una parola tossica; Obama non ha ottenuto nulla con il suo bridges-and-potholes bill da 302 miliardi di dollari di quest'anno. La Germania, lungi dall'usare il suo potere economico per diventare un motore della crescita in Europa, come richiesto dai suoi partner commerciali, si sta espandendo a spese degli altri paesi. Sta mantenendo i suoi lavoratori occupati nella produzione di beni e servizi per l'esportazione, mentre non compra i beni e servizi prodotti dagli altri paesi. Questo spiega perché il surplus sul proprio bilancio delle partite correnti, la misura generale del commercio e dei redditi da capitale, è pari al 7 per cento del suo prodotto interno lordo, il più alto tra le maggiori economie. 

Questo non è uno status quo stabile. Lo shock di metà ottobre nei mercati azionari globali ha tradito le gravi preoccupazioni per una ricaduta. Mentre l'economia statunitense sta crescendo in maniera adeguata, per ora, nonostante la resistenza della politica fiscale, il ritmo della Cina sta rallentando, il Giappone soffre per la ferita auto-inflitta dell'aumento delle tasse sui consumi, e l'eurozona a 18 paesi ha avuto una crescita zero nel secondo trimestre. Questo semplicemente non è abbastanza, ha detto in una visita di ottobre a Bloomberg il segretario al Tesoro Jacob Lew. "Per muoverti hai bisogno di tutte e quattro le ruote" ha detto "o non sarà una buona corsa".

Entri in scena Lord Keynes. Il taglio dei tassi di interesse va bene per aumentare la crescita in tempi normali, ha detto, perché i tassi più bassi inducono i consumatori a spendere, piuttosto che risparmiare, stimolando le imprese a investire. Ma quando i tassi arrivano al "limite inferiore" pari a zero, ha spiegato, le banche centrali diventano quasi impotenti, mentre la politica fiscale (tasse e spese) diventa una soluzione molto efficace per la domanda insufficiente. I governi possono aumentare la spesa per stimolare la domanda, senza doversi preoccupare di spiazzare gli investimenti privati​​, perché c'è un sacco di capacità inutilizzata, e la loro spesa non farà aumentare i tassi di interesse.

E' la cosa più vicina ad un pasto gratis che gli economisti abbiano scoperto. Keynes, sempre provocatore, ha sostenuto che in una recessione profonda qualsiasi cosa il governo faccia per indurre l'attività economica è meglio di niente - anche seppellire bottiglie piene di banconote nelle miniere di carbone perchè le persone le dissotterrino.

Certo, è molto meglio se il denaro viene speso bene. Considerando il disperato bisogno di strade migliori, ponti, gallerie, scuole e così via, è un gioco da ragazzi per i governi costruirle ora che ci sono mani volenterose e prestiti a basso costo. L'economista di Harvard Lawrence Summers, ex segretario al Tesoro, e Brad DeLong della University of California a Berkeley hanno sostenuto nel 2012 che gli investimenti nelle infrastrutture potrebbero anche ripagarsi da soli, in parte anche mantenendo le persone occupate in modo le loro capacità non si atrofizzino.

Se invece i governi dei paesi ricchi non fanno più nient'altro, sperando che le loro economie guariscano da sole, rischiano tutti di restare bloccati nella stessa impasse che ha intrappolato il Giappone per tanti anni dopo che il suo miracolo economico del dopoguerra è bruscamente finito nel 1990. L'inflazione è un problema risolvibile, come l'ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker ha dimostrato: devi solo alzare i tassi di interesse abbastanza in alto da interrompere la febbre, con una profonda recessione come effetto collaterale, ma temporaneo. La deflazione in stile giapponese, la crescita lenta cronica, è più difficile da interrompere. Anche lo stimolo fiscale può non funzionare se le famiglie e le imprese si fanno prendere dalla paura. Come quando si combatte un'epidemia o una rivolta, è fondamentale agire in fretta, prima che il nemico guadagni forza. "Questa sarà una cattiva analogia, ma è come la lotta contro l'ISIS", dice David Joy, chief market strategist di Ameriprise Financial (AMP). 

Keynes potrebbe risultare difficile e incoerente. Paul Samuelson, il compianto economista premio Nobel, ha descritto il suo libro "La Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta" come "mal scritto, mal organizzato ... arrogante, irascibile, polemico, e non eccessivamente generoso nei suoi riconoscimenti," prima di riassumerlo infine con un "in breve, l'opera di un genio."

Che lo si ami o lo si odi, non c'è nessuno come Keynes sulla scena mondiale di oggi. Era un uomo di Stato, un filosofo, un amante bohémien del balletto, e membro insieme a Virginia Woolf del creativo e intellettuale gruppo di Bloomsbury. Ha vinto e perso fortune in qualità di investitore ed è morto ricco. Nel 1919, in un libro lungimirante intitolato "Le conseguenze economiche della pace", ha condannato le dure riparazioni imposte alla Germania dopo la prima guerra mondiale, così punitive da contribuire a creare le condizioni per il Terzo Reich di Adolf Hitler. Nel 1936 ha sostanzialmente inventato la macroeconomia con il suo capolavoro, La Teoria Generale. Dal 1944 fino a poco prima della sua morte all'età di 62 anni, avvenuta due anni dopo, ha guidato la delegazione del Regno Unito nei negoziati che hanno portato alla istituzione del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. 

Negli anni '50 e '60, il pensiero keynesiano era dominante. Il principale consigliere economico del presidente Kennedy, Walter Heller, nel 1963 convinse il presidente  a proporre il taglio delle tasse per stimolare la domanda (il provvedimento passò nel 1964, dopo il suo assassinio). "E' stata la prima volta nella storia che un presidente ha approvato e ha adottato specificatamente l'approccio keynesiano", ha detto Heller al New York Times nel 1987.

Keynes ha iniziato a cadere in disgrazia a partire dagli anni '70 perché le sue teorie non potevano facilmente spiegare la stagflazione, ossia la coesistenza di alta disoccupazione e alta inflazione. Gli economisti accademici sono stati attratti dalla nuova teoria delle "aspettative razionali", che sosteneva che il governo non avrebbe potuto stimolare l'economia attraverso la spesa in deficit perché i consumatori lungimiranti si aspettano razionalmente che lo stimolo debba essere ripagato alla fine e così risparmierebbero per i futuri aumenti di pressione fiscale, compensando l'iniziativa. Economisti dal lato dell'offerta sostenevano che Keynes non aveva considerato come le tasse basse potevano stimolare la crescita a lungo termine, inducendo lavoro e investimenti. "Politiche infruttuose e dibattiti confusi hanno lasciato l'economia keynesiana in disordine", ha scritto nel 1983  l'economista svedese Axel Leijonhufvud nella conferenza per celebrare il centenario di Keynes. Una teoria successiva che si è evoluta negli anni '80 e '90, il nuovo keynesismo, ha tentato di integrare la teoria delle aspettative razionali nella visione del mondo di Keynes, e in particolare la sua osservazione che i prezzi e i salari sono "rigidi", cioè che non scendono abbastanza durante una crisi per riequilibrare l'offerta e la domanda. I Nuovi Keynesiani vanno da conservatori come John Taylor della Hoover Institution a liberali come DeLong di Berkeley.

A Wall Street, il keynesismo non è mai veramente morto, perché le sue teorie hanno fatto un buon lavoro per spiegare le fluttuazioni a breve termine che gli economisti bancari sono pagati per prevedere. "Approcciamo le previsioni più da un punto di vista keynesiano, che ci piaccia o no" dice Joseph LaVorgna, capo economista americano a Deutsche Bank Securities (DB). 

Se Keynes fosse vivo oggi, avrebbe potuto avvisare sul rischio di una ripetizione del 1937, quando errori di politica economica hanno trasformato una promettente ripresa nel peggiore double dip della storia. Questa volta, l'Europa è la zona pericolosa; allora furono gli USA. Quella che viene chiamata la Grande Depressione negli Stati Uniti furono in realtà due ripide cadute. La prima si è conclusa nel 1933. È stata seguita da quattro anni di crescita ad una media di oltre il 9 per cento l'anno, uno dei più forti recuperi di sempre. Cosa abbia interrotto la ripresa è ancora oggetto di dibattito. Alcuni economisti accusano il presidente Franklin Roosevelt di aver firmato gli aumenti fiscali e i tagli al programma per l'occupazione del New Deal. Altri danno la colpa alla Federal Reserve. L'economista del Dartmouth College Douglas Irwin sostiene che l'amministrazione Roosevelt ha innescato la ricaduta acquistando oro, rimuovendolo dalla base monetaria degli Stati Uniti. La mossa per evitare l'inflazione riuscì fin troppo bene, causando deflazione. Qualunque sia stata la causa, la Gran Bretagna e gli altri partner commerciali sono stati trascinati verso il basso, la produzione degli Stati Uniti si è inabissata e non ha recuperato completamente fino all'entrata nella seconda guerra mondiale. "Siamo davvero in una sorta di momento-1937", dice Temin del MIT. "E' una lezione della storia per noi."




Ora come allora, per uscire dalle secche servirà un'azione internazionale concertata. Qualsiasi paese che cerchi di stimolare da solo la crescita  è esposto a perdite; un sacco di potere d'acquisto viene speso per le importazioni, in modo che non si aiuta la produzione o l'occupazione nazionale. Allo stesso modo, un paese che vuole avvantaggiarsi sui suoi partner commerciali può indebolire la sua moneta, riuscendo così a esportare di più (e creare posti di lavoro) mentre importa di meno (danneggiando l'occupazione all'estero). Questa è la definizione stessa delle politiche economiche "beggar-thy-neighbor".

Keynes aveva messo a punto una soluzione per tale comportamento e su questo aveva insistito negli ultimi anni, ma è stato sconfitto in una conferenza a Bretton Woods, NH, nel 1944, dal suo omologo americano Harry Dexter White, un alto funzionario del Dipartimento del Tesoro. Keynes chiedeva una "international clearing union" che si impegnasse a mantenere il commercio e gli investimenti in un equilibrio di massima.

Il problema allora, come oggi, è che i paesi creditori avevano tutto il potere. Essi potevano richiedere ai paesi debitori di pagare gli interessi sui vecchi prestiti anzichè, per esempio, nutrire i loro figli. I debiti devono essere onorati, ovviamente. Ma Keynes aveva capito che i paesi creditori hanno un ruolo da svolgere. Essi dovrebbero dare ai paesi debitori po' di respiro acquistando da loro  più prodotti e servizi. Oggi questo significherebbe che i tedeschi dovrebbero passare le vacanze a Mykonos e comprare più vino di Porto, dando a greci e ai portoghesi gli euro di cui hanno bisogno per ripagare i loro prestiti alle banche tedesche. Il concetto era indiscutibile. Ma gli Stati Uniti, avendo nel 1944 un surplus commerciale, non avevano alcun interesse a un organismo internazionale che legasse loro le mani (oggi è la Germania, adagiata su un surplus commerciale di massa, che non vuole sentirsi dire cosa fare). Il risultato è stato un'organizzazione meno potente, il Fondo Monetario Internazionale per gli aiuti ai paesi con problemi di bilancia dei pagamenti, e la Banca Mondiale, per promuovere lo sviluppo nei paesi più poveri. 

La grande domanda è se l'architettura finanziaria internazionale di oggi è all'altezza della sfida di riequilibrio del commercio globale e degli investimenti. Il FMI, al suo attivo, ha preso le distanze dalle prescrizioni austere del "Washington Consensus", che ha sostenuto fino agli anni '90,  verso una prospettiva più keynesiana. "Il suo pensiero è più rilevante nella congiuntura attuale di quanto non sia stato nelle precedenti depressioni dell'economia globale", afferma Gian Maria Milesi-Ferretti, vice direttore del dipartimento di ricerca del Fondo Monetario Internazionale.

Ma il FMI non ha l'autorità che avrebbe avuto la nata-morta international clearing union di Keynes, ed è percepita in alcuni ambienti come soggetta agli interessi degli Stati Uniti. Brasile, Cina, India, Russia e Sud Africa stanno cercando di creare un'alternativa. Nemmeno la Germania sta prestando molta attenzione al FMI dato che fa pressioni su Francia e Italia perchè prendano la stessa medicina dell'austerità di Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna. "I fuochi di paglia, i programmi di stimolo a breve termine" non sono il modo per rilanciare la crescita, ha detto il ministro dell'Economia tedesco Sigmar Gabriel, il 20 ottobre prima di una riunione ministeriale congiunta a Berlino. Ai ferri corti, i tedeschi e i francesi puntano su una proposta congiunta il 1 dicembre. Eswar Prasad, un economista della Cornell University e autore de "The Dollar Trap: How the U.S. Dollar Tightened Its Grip on Global Finance", scrive in una e-mail che il sistema proposto da Keynes "richiede buone politiche interne e una forte dose di cooperazione internazionale", cose che entrambe scarseggiano.

Così va la disputa tra i medici mentre il paziente peggiora. Keynes vide lo stesso tipo di agitazione all'inizio della Depressione. "Ci siamo messi in un pasticcio colossale, dopo aver commesso un errore grossolano nel controllo di una macchina delicata, della quale non comprendiamo il funzionamento", scrisse nel 1930. "Il risultato è che le nostre possibilità di benessere e ricchezza possono andare perdute per qualche tempo, forse per molto tempo". Keynes stesso ci ha mostrato la via d'uscita.


Traduzione di Saint Simon

23 commenti:

  1. Per chiarire il punto della stagflazione degli anni '70 - il fenomeno per cui alta inflazione e alta disoccupazione si presentavano contemporaneamente - apparentemente contraddicendo le teorie keynesiane, normalmente io a scuola dico agli studenti più o meno questo:

    La curva di Phillips che lega in un rapporto inverso inflazione e disoccupazione negli anni '70 sembrò assumere un andamento verticale, cioè tassi più elevati di inflazione erano associati ad un medesimo tasso di disoccupazione. Come mai? Erano successi due shock petroliferi che fecero prima quadruplicare e poi più cher raddoppiare il prezzo del petrolio. Le curve di Phillips elaborate negli anni '60 non contemplavano queste variabili come i prezzi delle materie prime, perché questi prezzi non erano sino ad allora granché variati, e quindi ovviamente queste curve di Phillips fallirono le previsioni dell'inflazione.
    Così gli economisti neoclassici cominciarono a dire che il modello keynesiano non funzionava, mentre i keynesiani osservavano che la curva di Phillips si era solo spostata verso l'alto perché spinta dal prezzo del petrolio, e che inserendo nel modello di previsione anche questa variabile tutto sarebbe tornato...

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  2. A si? Il FMI ha abbandonato il "Washington consesus"?

    E come mai, allora, all' Italia ha "consigliato" taglio delle pensioni e riforme del lavoro deflattiva?

    Come mai Crudelia La Garde ci ha tanto tenuto a far sapere che i bambini greci non gli fanno pena (quindi inserita dalla Kulona e i suoi nelle nomination per il nuovo presidente della commissione europea)?


    Il noto economista Lucas (il babbo delle pseudoteorie neo-classiche che sgovernano l' economia mondiale) ebbe a dire -pare- che: "in trincea siamo tutti keynesiani".
    Del keynesismo di trincea della finanza predona, giuro, possiamo fare tranquillamente a meno. Lo abbiamo vista all' opera.

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    1. Si puo' dire che l'Fmi non ha mai abbandonato il "washington consensus", semmai e' questo che si e' rimodulato sempre in base agli interessi di Washington, DC: dall'ortodossia friedmaniana in SudAmerica nei tardi anni '70-anni '80, replicata in varie altre parti del mondo negli anni '90, ovunque fossero passati gli uragani finanziari, all'approccio piu' flessibile tenuto recentemente. In quest'ultima variante, da una parte si critica la Germania per l'eccesso di austerita' e la si invita a reflazionare (la seconda parte del piano Geithner del 2012), per evitare la morte prematura della ripresa americana e comunque continuando a caldeggiare le riforme strutturali nei Piigs, dall'altra si continua con l'ortodossia piu' dura come recentemente fatto con l'Argentina in occasione della crisi dei fondi avvoltoio.
      In base a quanto sopra, non e' nemmeno corretto dire che l'Fmi fa gli interessi dei creditori; piuttosto, con un approccio molto pragmatico, fa l'interesse di un solo "creditore", ovvero quello che piu' contribuisce alle casse del Fmi e in base alla "democrazia azionaria" dell'istituto ha maggior voce in capitolo sulla sue decisioni: gli USA.
      Quelli che "percepiscono" il fmi come uno strumento Usa hanno motivi fondati per farlo, e correttamente i BRICS si muovono di conseguenza cercando la propria alternativa, stante la difficolta' nel riformare la constituency dell'istituto (che ne cambierebbe la governance) causa resistenza degli Stati Uniti e degli alleati.

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  3. Anche Reuters è sulla stessa linea. Sta cambiando il vento. Del resto a questo punto bisognerebbe ignorare l'evidenza altrimenti. http://blogs.reuters.com/anatole-kaletsky/2014/10/31/the-takeaway-from-six-years-of-economic-troubles-keynes-was-right/

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  4. Io continuo a non capire perche' nessuno vuole ammettere che e' il capitalismo che e' una follia. Follia prima di tutto matematica. Non esiste che un sistema si fondi sul presupposto di risorse infinite e debiti per espandersi. Questa e' solo l'ennesima imbecillita' umana fatta regola di vita x miliardi di persone che finira' in tragedia. La peggiore che storia ricordi. Ma le cose ( e i ragionamenti) semplici non sono mai in prima fila ma relegate in fondo. E il mio ragionamento non e' appunto semplicistico ma semplice. Non fatto ieri e neanche l'altro ieri. Da 34 anni elaborò dati nell'ambito della pianificazione e controllo e la semplicita' e' la prima regola per capire. Il resto e' accademia ( e aria).

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    1. Credo che il nocciolo della questione sia nel rapporto tra base monetaria e moneta a debito, che non può essere così fortemente squilibrato a favore della seconda come adesso.

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    2. Certamente si. Ma e' il capitalismo stesso che alimenta il debito altrimenti si sgonfierebbe come un pallone bucato. La vera tragedia che prima o poi l'umanita' andrà incontro e' lo scollamento tra economia reale con risorse finite ed economia finanziaria con risorse infinite. Prima o poi la bolla finale fara' tanto di quel rumore che il pallone si sgonfiera' definitivamente. E anche la civilta' dei consumi.
      Sempre che il clima ce ne dia il tempo. Dei rapporti dell'ONU sul tema sembra che diano solo fastidio ai soloni dell'espansione eterna.

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  5. La domanda però è: chi paga? Gli investitori? Possibile, se fossimo degni di fiducia. La vedo difficile se le prospettive fossero un debito che andasse oltre il 140-150% a fronte di progetti stile "Ponte sullo Stretto di Messina", MOSE, autostrada BreBeMi e similari. Credo che anche Keynes avrebbe qualche dubbio al riguardo.

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    1. Chi paga non è un problema se uno stato, come è giusto che sia, non si deve finanziare sul mercato come fosse una famiglia o un'impresa. Degli investimenti pubblici possono essere tranquillamente finanziati in deficit da una banca centrale che faccia il suo mestiere, specie in una situazione di depressione come questa, e la crescita stessa ripianerà il bilancio. Sempre con un occhio al saldo dei conti conl'estero, naturalmente.

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  6. Investimenti nel settore scolastico italiano, inv. in maestri/e, rinovazione nel infrastruttura delle scuole/università.

    Investimenti nel settore idrologico italiano in generale è ci sarebbe lavoro nonstop per anni.

    Investimenti nella banda larga.

    Porca merda, l'italia è in una crisi nera di domanda, ormai qui va bene tutto è di lavoro nelle infrastrutture italiane c'è ne sarebbe da diventare neri.
    Bisogna dare lavoro è pane alle gente a tutti i costi.

    Ai Probleme strutturali italiani si pensa dopo, impossibile fare qualsiasi tipo di riforma nello stato attuale del economia italiana. Bisogna dare aria alla domanda costi quel che costi.

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  7. Scusate la mia ignoranza in materia, ma quando Draghi ha prestato mille miliardi di euro alle banche, si è comportato da keynesiano o no?
    Keynes diceva che in condizioni estreme la politica monetaria è insufficiente, impotente a risolvere le crisi. D'accordo, ma prima di arrivare a questi livelli, mi pare di ricordare che Keynes predicava le politiche monetarie espansive.
    Ciò significa che se siamo arrivati fino a qui, ben intrappolati in una deflazione storica, forse anche il pensiero di keynes è coinvolto (perfino i mutui immobiliari dissennati concessi dalle banche che stanno all'origine della crisi, potrebbero a ragione essere considerati un mezzo adeguato ad aumentare l'attività economica.
    Mi pare insomma che richiamare keynes facendone una sorta di spartiacque tra buoni e cattivi sia un errore, che il discrimine passa invece altrove.

    Le questioni sul tappeto mi pare travalichino ampiamente Keynes, e riguardano la distribuzione del potere nel mondo tra ricchi e poveri, il ruolo delle banche e la loro natura pubblica o privata, la limitatezza delle risorse, e la possibilità stessa della sopravvivenza del capitalismo.
    Declassare questi problemi da far tremare i polsi a uina questione di politica fiscale, a me sembra una grave sottovalutazione dei problemi che abbiamo di fronte.

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    1. Credo che tu stia facendo un po' di confusione.

      In primis, Draghi si occupa "soltanto" di politica monetaria. I QE della FED e i LTRO della BCE ("i mille miliardi di euro alle banche") sono tutte azioni di politica monetaria; Keynes parlava di politiche fiscali e di bilancio, in aggiunta a quelle monetarie.

      Keynes sosteneva che quando la politica monetaria giunge all'estremo limite, ovvero quando i tassi d'interesse sono pari o prossimi allo zero, la banca centrale non può più nulla per stimolare i privati; solo lo Stato può intervenire con politiche fiscali e di bilancio - non monetarie - per stimolare la ripresa della domanda privata.

      Questa tesi ha un portato rilevantissimo: lo Stato deve avere gli strumenti per intervenire nell'economia e bilanciare il libero mercato, che per sua natura non può trovare un equilibrio sano. Questa affermazione ha un effetto dirompente su molte questioni chiave, dal ruolo delle banche e della banca centrale in particolare, al ruolo dello stato nella raccolta del risparmio privato e al welfare: sono tutti strumenti che lo Stato deve avere a disposizione per intervenire direttamente nell'economia se vuole fare politiche non strettamente monetarie. E purtroppo lo Stato ha un'orribile caratteristica per i liberisti: se è democratico, può capitare che cada nella mani di forze progressiste che cerchino di modificare la distribuzione del potere tra ricchi e poveri a favore di questi ultimi. Semplificando molto.

      Non è un caso che l'offensiva liberista dagli anni '80 in poi ha cercato di disarticolare proprio gli strumenti d'intervento dello stato nell'economia, iniziando con togliergli la politica monetaria con la tesi della banca centrale indipendente e procedendo di passo in passo fino allo smantellamento del welfare, in modo da sottrarre l'economia a qualsiasi possibile influenza delle istanze democratiche.

      Per questi motivi Keynes, che di sicuro non era un anti-capitalista e nemmeno un rivoluzionario, è visto come Satana dai sostenitori delle politiche supply-side e dagli ottimati alla von Hayek in generale, che osano rispolverarlo - sterilizzandolo - solo quando non se ne può fare a meno perchè serve il "keynesismo di trincea" di cui parlava bargazzino, quello strettamente necessario a risolvere i disastri che gli animal spirits del libero mercato hanno scatenato.

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    2. Scusa, ma mi pare che tu non m'abbia letto, ribadisci i concetti già chiaramente espressi nell'articolo, ma mi sembra che non rispondi alle mie obiezioni, anzi dici che faccio confusione, salvo non specificare dove starebbe la confusione.
      Saprai anche tu che di ciò che ha preceduto lo scoppio della bolla nel 2007-2008, si è detto che è keynesianesimo monetario.
      Io mi riferivo a questo, al pregresso che tu salti a piè pari, concentrandoti sull'oggi.
      Senza rubare troppo spazio al blog ed alla attenzione dei lettori, ti ripeto una domanda molto circostanziata: tu dici che keynes sostiene che giunti a tassi zero, non basta la leva monetaria.
      Perfetto.
      Io chiedo se quindi prima di arrivare a tassi zero, la leva monetaria vada usata. Mi pare che keynes dice di sì, ed allora sarà anche vero che un capitalismo incapace di crescere significativamente dagli anni settanta ha aumentato la liquidità per far crescere l'attività economica, e questo mi pare coerente col pensiero di keynes. Se è così, non sarà allora che Keynes è parte del problema?
      Mi pare un ragionamento molto lineare, ma se sbaglio non aspetto altro che qualcuno me lo spieghi. Grazie.

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    4. Continuo a non comprendere il tuo punto e a sospettare sia frutto di un misunderstanding su Keynes.

      Keynes sosteneva l'uso della leva monetaria? Certo, come uno degli strumenti di indirizzo macroeconomico (ma gia' sul come usarla differiva dai classici); tuttavia, non vedo come questo c'entri con quanto successo nel trentennio tra gli anni '80 e il 2010, a meno di non pensare che tutti i dentisti che usano il trapano sono macellai. O che tutti quelli che usano l'ak 47 sono comunisti.

      Dagli anni '80 al 2007, con la quota salari in declino causa politiche redistributive pro-capitale, si e' cercato di tenere in piedi la baracca della domanda aggregata con il credito facile permesso da politiche monetarie via via piu' espansive (dopo la terapia Volcker), in un ciclo di boom e sboom economici auto-replicantesi in varie aree del mondo, l'uno dopo l'altro. Tutto questo in sincrono con lo smantellamento dell'intervento statale nell'economia nel mondo occidentale. Questo non c'entra nulla col keynesismo, per il quale la domanda aggregata deve essere sostenuta con la politica fiscale attiva dei governi, che nella loro azione hanno tanto piu' successo quanto piu' parte dell'economia nazionale possono controllare e con il corollario che per avere una domanda aggregata che si auto-sostiene si deve mirare ad un certo grado di equita' redistributiva. "keynesismo monetarista" come definizione ossimorica sembra uscita da quel covo di simpatici anarco capitalisti di zero hedge, che vedono come keynesiano (=sovietico, da economia pianificata) perfino l'intervento della banche centrali indipendenti: per loro anche fissare il tasso d'interesse e' un'improvvida intromissione nelle perfette leggi del mercato.

      In ogni caso, se per te la criticita' e' quella classica decrescista della crescita infinita in un mondo con risorse finite e del capitalismo consumistico moderno, allora si, immagino che keynes possa essere considerato dai decrescisti parte del problema perche' non e' mai stato anti-capitalista.

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  8. Bene, grazie alla tua cortese risposta, si può ora capire come una politica monetaria espansiva possa essere anche distruttiva. Naturalmente, sono certo che tutti voi conosciate meglio di me il pensiero di Keynes e sicuramente sono io che mi sbaglio, ma generalmente se uno tiene in mano un fucile, siamo portati a credere che voglia sparare e ovviamente possiamo anche sbagliarci. Ciò tuttavia implica che valutare quale sia la politica economica keynesiana non è così ovvio come si poteva credere.
    Faccio osservare che anche una politica fiscale di tipo espansivo richiede un aumento della liquidità, e mi chiedo se oggi, in presenza di un sistema bancario che trabocca di liquidità, non vi sia il concreto pericolo che essa possa fuoruscire di colpo dai circuiti in cui si trova posteggiata alla ricerca di merce da acquistare causando una bomba inflazionistica.
    Spero di non abusare della pazienza dei lettori per riportare qui una metafora che avevo usato qualche mese fa su un post sul mio blog in riferimento alla situazione economica mondiale e che mi pare possa essere utile per capire il senso delle vie d'uscita proposte.

    Immaginiamo dunque che l'economia mondiale sia un treno a cui sono stati attaccati troppi vagoni pieni di merce pesante e che stenta a procedere in un tratto in salita. La Germania propone di lasciare procedere il treno con la povera locomotiva che è costretta a sforzarsi per procedere, malgrado risulti evidente che il treno sta cominciando ad indietreggiare. Gli USA invece propongono di aggiungere in coda una seconda locomotiva che spingendo coadiuvi la prima.
    In effetti, finchè dura la salita, non v'è pericolo alcuno che il treno prenda troppa velocità (leggi troppa inflazione), ma il punto è che di colpo alla sommità della salita, essa si trasformerà in discesa, e chi guida la seconda locomotiva non se ne può accorgere, essendo in coda egli non vede ancora la sommità. Risultato, la ricetta espansionistica rischia di dar luogo ad un'improvvisa accelerazione che farà deragliare il treno.
    Si dice, è inevitabile rischiare per uscire dalla crisi. Eppure, le cose non stanno così, vi sarebbe una via ben più lineare, e sarebbe quella di alleggerire i vagoni. Uscendo di metafora, è stato il salvataggio delle banche, ed il continuo aiuto da parte delle banche centrali a tenere il sistema bancario globalizzato in questo stato di fallimento solo potenziale. Se questo sistema si faceva fallire in modo controllato creando un sistema bancario parallelo ma stavolta pubblico, la crisi si sarebbe risolta da sè, semplicemente annullando questa ricchezza di carta che pochi potenti detengono in questo mondo impazzito. Insomma, invece di avere treni sempre più potenti, sarebbe meglio avere treni un po' meno pieni. Ma qui, è chiaro, il problema diventa il rapporto tra economia e politica, dove la prima ha ormai malauguratamente sottomesso la seconda.

    Io in ogni caso non sono per la decrescita, sono per la sostenibilità che poi mi pare l'unica alternativa credibile alla crescita continua praticata dal capitalismo.
    Se tuttavia non comprendiamo che tutti i problemi che abbiamo di fronte sono sorti per la volontà dei ricchi di aumentare in maniera esagerata le loro ricchezzze e nel volerle oggi difendere al di là di ogni ragionevolezza, non riusciano a capire come uscirne. Piaccia o no, bisogna sconfiggere i ricchi, qualsiasi altra strategia che ignori la radice del problema, si rivelerà fallace.

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    1. Vincenzo, per mia fortuna sei dotato di pazienza tanto quanto Carmen, quindi sono abbastanza sicuro che non te la prenderai se scrivo che:

      l'inflazione non dipende dalla massa monetaria in circolazione. l'inflazione non dipende dalla massa monetaria in circolazione. l'inflazione non dipende dalla massa monetaria in circolazione. l'inflazione non dipende dalla massa monetaria in circolazione. l'inflazione non dipende dalla massa monetaria in circolazione.
      l'inflazione non dipende dalla massa monetaria in circolazione.
      l'inflazione non dipende dalla massa monetaria in circolazione.
      (perchè la moneta è endogena)

      come è invece implicito nella tua affermazione:
      "mi chiedo se, in presenza di un sistema bancario che trabocca di liquidità, non vi sia il concreto pericolo che essa possa fuoruscire di colpo dai circuiti in cui si trova posteggiata alla ricerca di merce da acquistare causando una bomba inflazionistica."

      L'inflazione dipende dalla curva di Phillips, ovvero dai livelli di disoccupazione, come spiegato da Carmen nel primo commento a questo post. La "bomba inflazionistica" non ci sarà fino a che non ci sarà un aumento sostenuto dei salari medi, il che implica di converso livelli occupazionali prossimi alla piena occupazione. Siamo ben lontani da quella situazione, e qualsiasi richiamo alla "possibile ascesa dell'inflazione" è solo una strategia che il main stream attua al fine di depotenziare quanto più possibile le politiche keynesiane che si renderanno necessarie, implicitamente avverse agli ottimati in quanto richiedono una inversione del trend della quota salari e uno sgonfiamento dell'economia di carta. Questa crisi, in definitiva, è un potenziale punto di svolta nella lotta di classe nel XXI secolo, dopo trent'anni di ritirata disastrosa del lavoro di fronte al capitale (ovvero ai ricchi).

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    2. Spero, caro Saint Simon che tu abbia ragione.
      Permettimi egualmente un'osservazione probabilmente impertinente, ma come sai, sono proprio le osservazioni appartentemente impertinenti a volte a dimostrarsi più lungimiranti.
      Tu dici che l'inflazione non crescerà finchè il livello medio dei salari non aumenta. A quanto capisce un profano come me, ciò dipende dal livello di reddito disponibile per acquistare da parte dei soggetti economici.
      Ora, immagina che la distribuzione del reddito ed ancor più del capitale sia stata fortemente sbilanciata verso i più ricchi, che mi pare un caso che calza bene con la nostra attuale situazione.
      Se la quota di capacità di spesa di poche persone ricche diventa una percentuale significativa della capacità complessiva, non può verificarsi forse per la prima volta nella storia dell'umanità che questi pochi da soli, per paura che la montagna di titoli che detengono divenga cartaccia buona tuttalpiù per farci un falò, scatenino da soli una terribile inflazione, pronti a comprare qualsiasi cosa pur di trasformare la cartaccia che detengonpo in merce? Sulla massa complessiva di titoli dell'ordine di 600 mila miliardi di dollari, poche migliaia di persone ne detengono forse un quinto del totale. Ove decidessero di venderli, non disporrebbero di una quantità di liquidità così ingente da rendere l'offerta di merce immeditamente insufficiente?
      La macroeconomia è una bella cosa, ma va bene per i grandi numeri, per miliardi o almeno milioni di soggetti economici, ma temo che si riveli insufficiente nel caso dei piccoli numeri, come quelli appunto costituiti dal manipolo di ricconi del pianeta. Il punto è che mai nella storia dell'umanità l'abbondanza delle risorse finanziarie e la loro concentrazione in poche mani ha creato uan situazione così peculiare. Trarre conclusioni dalla storia economica costituisce sicuramente un aiuto prezioso, a patto di saper cogliere i tratti comuni ma anche le differenze.

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    3. Brevemente:
      C'è un fatto, che la propensione al consumo dei redditi alti è relativamente bassa. L'aumento spropositato della liquidità concentrata in poche mani - che in base alla teoria della moneta endogena non è sotto il controllo delle banche centrali, bada bene - può dar luogo ovviamente al fenomeno delle bolle che gonfiano i prezzi in certi settori per motivi speculativi. Da qui il fenomeno delle crisi finanziarie ricorrenti degli ultimi trent'anni. Cose egregiamente spiegate da Minsky (sul tasto cerca del blog si trovano dei bei post in merito).
      Keynes con tutto questo non c'entra niente. Egli ha solo sostenuto che la politica monetaria e quindi la manovra del tasso di interesse ha effetti sugli investimenti e attraverso gli investimenti sull'economia reale, non è quindi un fenomeno puramente monetario.
      Da qui a sostenere la politica monetaria come correzione agli squilibri dell'economia, ce ne passa. Keynes ha sempre sostenuto il primato della politica fiscale redistributiva.



      T

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    4. Spero di non abusare della vostra pazienza, ma vorrei esprimere lo stesso concetto che ho precedentemente espresso con un esempio, e vediamo se riesco a farmi capire.
      Ipotizziamo che in Italia si insedii un governo che porta l'Italia fuori dall'euro e che voglia praticare una politica keynesiana di espansione economica.
      Come dite, lo strumento principe è la politica fiscale, ma credo non in senso solo redistributivo.
      Se abbassa le tasse ai più poveri, lo fa aumentando quelle dei ricchi? Non credo, deve per forza aumentare la disponibilità di spesa delle persone, e quindi di fatto aumenta il deficit statale e/o stampa la moneta necessaria per limitare il deficit (che dovrebbe finanziare con l'emissione di titoli). Cioè, nessuna politica fiscale può essere attuata senza che lo stato eserciti la sovranità monetaria: non è questo che dicono quelli come noi che siamo per l'uscita dall'euro? Vogliamo avere la facoltà di potere andare in disavanzo per potere stimolare l'attività economica.
      Ora, se le cose stanno così, e credo che stiano proprio così, l'errore di Draghi non sta proprio nella destinare la liquidità verso il sistema bancario invece che direttamente agli stati permettendo loro di realizzare un loro disegno di politica fiscale?
      E' evidente che si tratta di due logiche diverse, ma che coincidono almeno sul punto di aumentare la liquidità.

      Il mio dubbio è che una cosa sacrosanta come questa sia tuttavia nelle presenti condizioni di abbondanza esagerata di titoli ma anche di moneta creata l'una dal sistema bancario privato e l'altra dagli stati per non fare fallire le suddette banche, pericolosa perchè con finalità e magari con modalità profondamente diverse, possa finire per aggrvare il problema della liquidità sovrabbondante che mi pare illusorio credere che possa in eterno rimanere confinata nei circuiti bancari.
      Mi chiedo allora se non sarebbe necessario prima di procedere allo stimolo dell'attività economica, fare un reset per distruggere tutta questa liquidità pregressa.
      E visto che è evidente che gente come Obama non ha nè la volontà nè la capacità di fare un'operazione come questa, non sarebbe allora necessario attuare una politica antiglobalista che ci faccia uscire da questo mondo impazzito guidato da banche il cui unico evidente obiettivo è sopravvivere il più a lungo possibile a qualsiasi costo, anche quello di affamare l'umanità intera.
      Visto che nessun governo ha l'ardire di schierarsi apertamente contro le banche ed il loro strapotere malamente esercitato, il discrimine non passa allora dal garantire la sovranità nazionale proprio nel sottrarsi al potere bancario?

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    5. In primo luogo è chiaro e scontato che la politica monetaria (non indipendente) deve porsi al servizio della politica fiscale con emissione di moneta e acquisto di titoli di stato. Questa è la sovranità monetaria indispensabile.
      La paura che nella deflazione attuale una eventuale politica di deficit spending vada a sommarsi alla enorme liquidità immessa nel sistema bancario dalle banche centrali e faccia esplodere un'inflazione esponenziale ...mi pare un problema direi inesistente. Suggerisco la lettura di questo vecchio articolo di Istwine, impegnativo ma molto utile per chi ancora è soggetto al fascino della semplice idea che l'eccesso di moneta causi inflazione...
      Questo naturalmente non toglie che bisognerebbe tornare alla separazione tra banche commerciali e banche di investimento, e a una bella "repressione finanziaria", così evitiamo tuti questi crash...

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  9. http://www.youtube.com/watch?v=U1S9F3agsUA

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