04/10/13

Sapir: L’unione monetaria europea e la crescita economica

Jacques Sapir su Russeurope ci ricorda una storia che conoscevamo già: le bugie degli esperti che hanno accompagnato l'introduzione della moneta unica, smentite prima dalla stessa ricerca accademica e poi dalla dura realtà dei fatti,  di cui stiamo pagando ancora il prezzo. 
« Più grande è la bugia, e più ci si crede. » Joseph Goebbels.

Traduzione di Malachia Paperoga
Gli esperti hanno affermato per anni che l’implementazione dell’unione monetaria europea, ossia l’”Eurozona”, avrebbe avuto degli effetti estremamente positivi sull’economia degli stati membri. Ricerche accademiche solidamente supportate dai dati contraddicono queste pretese.

L’argomento iniziale e le illusioni

E' stata largamente diffusa l’illusione che una zona monetaria con una sola valuta avrebbe generato un rapidissimo aumento dei flussi commerciali tra gli stati membri. Questa aspettativa deriva da studi teorici ed empirici, in particolare da quelli di Andrew K. Rose[1]. Questi scritti, basati su un gravity model [2], attribuivano grande importanza alla vicinanza geografica degli aderenti. Dando luogo a quello che è stato battezzato come l’”effetto Rose” e a una letteratura estremamente favorevole all’unione monetaria, questi studi consideravano le valute nazionali come un “ostacolo” al commercio internazionale [3]. L’integrazione monetaria doveva consentire una migliore interazione tra i cicli economici dei paesi aderenti [4]. Avrebbe anche dovuto portare a un accumulo di conoscenze, consentendo un forte incremento di produzione e di potenziali scambi [5].

In un certo senso, l’Unione Monetaria avrebbe creato le condizioni adatte al successo di un’”Area Valutaria Ottimale” [6], seguendo dinamiche che sembravano essere endogene [7]. Da cui le famose dichiarazioni di molti politici riguardo al fatto che, con la sua sola esistenza, l’Euro avrebbe portato una forte crescita tra gli stati membri. Addirittura, Jacques Delors e Romano Prodi sostennero che l’Euro avrebbe incrementato la crescita europea dell’1-1,5%[8].

Dopo questi lavori, ne vennero prodotti degli altri, che affinavano le ipotesi di Rose, e riscontravano una considerevole riduzione nella dimensione degli effetti positivi dell’Unione Monetaria [9]; questi effetti rimanevano comunque significativi, con un aumento degli scambi economici tra gli stati membri dell’eurozona stimato tra il 20 e il 40% [10]. Non c’era quindi alcun dubbio, nelle menti di questi esperti, che l’introduzione dell’Euro avrebbe avuto effetti estremamente positivi sulle economie dei paesi membri.

Dubbi e critiche

Eppure questi lavori sono stati sottoposti a dure critiche per i metodi econometrici utilizzati [11]. In particolare, i modelli di stima dell’incremento del commercio internazionale tramite il cosiddetto gravity model, se si prestano bene al commercio bilaterale, non sembrano adeguati ad analizzare un contesto multi paese. Inoltre, e questa è una critica ancor più fondamentale, questi modelli sembrano non tenere in considerazione la persistenza del commercio internazionale [12], che può essere spiegata con vari fenomeni, inclusa l’asimmetria dell’informazione. Ma soprattutto, questi modelli negano l’esistenza di fattori endogeni nello sviluppo del commercio, che non sono condizionati dall’esistenza - o non esistenza - di un’Unione Monetaria.

Questi diversi elementi hanno portato ad una fondamentale revisione dei risultati ottenuti dallo studio iniziale di A.K. Rose. Basandosi su quasi 20 anni di ricerca sul commercio internazionale e sui gravity model [13], Harry Kelejian (con G. Tavlas e P. Petroulas) ha riconsiderato la stima degli effetti di un'unione monetaria sul commercio internazionale dei paesi membri [14]. Con risultati devastanti.

L’impatto dell’Unione Economica e Monetaria sul commercio dei suoi paesi membri viene ora stimato in una crescita tra il 4,7 e il 6,3%, valori molto distanti perfino dalle valutazioni più pessimistiche, che avevano previsto effetti minimi del 20%, e questo senza considerare nemmeno le prime previsioni di Rose, che stimavano questi effetti tra il 200% e il 300%. In soli 10 anni, abbiamo dunque assistito a un ridimensionamento prima dell’ordine di 10 a 1 (dal 200% al 20% [15]),  e poi ancora a un altro calo, che ha ridotto il livello di questi effetti dal 20% a una media del 5% (un fattore di 4 a 1) [16]. L’effetto di persistenza nel commercio sembra essere stato molto sottostimato e, al contrario, gli effetti positivi dell’unione monetaria altrettanto grandemente sovrastimati, probabilmente per ragioni squisitamente politiche. Non si può fare a meno di notare che i più stravaganti annunci riguardo gli effetti positivi dell’Unione Economica e Monetaria (con stime di un incremento del 200% del commercio tra paesi aderenti) sono stati fatti proprio nello stesso momento in cui l’Euro veniva introdotto. La bugia era davvero molto grossa…

Queste dichiarazioni servivano evidentemente da giustificazione per le politiche e i politici di quel tempo. Gli stessi argomenti vengono oggi utilizzati per dare consistenza all’idea che una dissoluzione dell’area Euro porterebbe a una catastrofe, con gli stessi numeri che vengono usati ancora una volta a fini di propaganda, di “Funkpropaganda”, ma questa volta nella maniera opposta, ossia per “predire” un collasso degli scambi internazionali dei paesi coinvolti, e quindi un crollo del PIL nel caso di un’uscita dall’Euro. Tuttavia, se gli effetti sul commercio internazionale creati da un’unione monetaria sono stati deboli, si può dedurre che al contrario gli effetti sui prezzi (quella che è chiamata “competitività di costo”) sono significativamente al di sopra di quanto considerato dalla vulgata dominante. [17]. Questo ridà tutta la sua importanza agli effetti di una svalutazione nel ripristinare la competitività di alcuni paesi. Benjamin Disraeli è noto per aver detto “ci sono delle bugie, delle maledette bugie, e le statistiche”. Possiamo allora aggiungere “e c’è anche l’econometria…”.


Ritorno al reale

Nella realtà, da quando è stata introdotta la moneta unica, la crescita nell'Eurozona è stata inferiore a quella dei suoi partners.



Tabella 1


Tasso di crescita del PIL a prezzi costanti. Media del periodo



Media 2001-2011
Media 2001-2007
Media 2007-2011
Australia
3,1%
3,4%
3,1%
Canada
2,1%
2,6%
1,4%
Norvegia
1,8%
2,3%
1,2%
Svezia
1,8%
3,0%
0,5%
Svizzera
1,7%
2,0%
1,6%
Regno Unito
1,6%
2,6%
0,4%
Stati Uniti
1,9%
2,4%
1,3%
Eurozona
1,1%
1,9%
0,4%
Totale OCSE
1,8%
2,4%
1,1%
Differenza rispetto alla media OCSE
-0,7%
-0,5
-0,7




Fonti : Database OECD.

(http://www.oecd.org/eco/sources-and-methods ).

[...]
Si nota che, rispetto alla media OCSE, la zona euro ha registrato una crescita inferiore dallo 0,5% allo 0,7%. Questo potrebbe essere il risultato dell'introduzione della moneta unica, che ha agito come un enorme freno per l'attività economica degli Stati membri [18]. Da questo punto di vista, si è colpiti dal fatto che, dopo l'introduzione dell'euro, il ruolo dell'Europa sulla scena economica internazionale non ha smesso di diminuire.

Va anche sottolineato che l'impatto delle politiche economiche nazionali attuate nei paesi della zona proprio in risposta all'introduzione della moneta unica ha avuto una notevole importanza sulle traiettorie individuali seguite da questi paesi. Per esempio, l'aumento del debito pubblico in Francia è stato in gran parte legato alla compensazione degli effetti negativi dell'euro sulla crescita. Così, l'impatto dell'euro non si manifesta solo sulla crescita, ma sulla totalità degli indicatori, tra cui gli indicatori di bilancio e del debito pubblico. Da questo punto di vista, lungi dal provocare la convergenza delle dinamiche economiche e del "ciclo economico", l'introduzione dell'euro è stata segnata da una crescente divergenza all'interno della zona stessa.


Tabella 2

Tasso di crescita interno all'Eurozona 
 


2001-2007
2007-2011
Austria
2,2
1,1
Belgio
2,0
0,8
Finlandia
3,2
0,5
Francia
1,8
0,8
Germania
1,2
0,5
Grecia
4,1
-0,7
Irlanda
5,5
-0,9
Italia
1,1
-0,5
Lussemburgo
4,2
2,2
Olanda
2,0
1,1
Portogallo
1,1
0,2
Spagna
3,4
0,3
Eurozona (12 paesi)
1,9
0,4
Totale OCSE
2,4
1,1
Differenze nell'Eurozona in % della media
72,3%
171,1%
Differenza Min-Max  in percentuale della crescita media nell'Eurozona.
231,5%
281,8%

Source : Database of Economic Perspectives of the OECD, no 88.


Nel caso della Francia, i successivi governi hanno scelto di sostenere una politica di bilancio fortemente espansiva, al fine di compensare l'impatto dell'euro sulla crescita. Ciò ha consentito alla Francia di non soffrire troppo dell'introduzione dell'euro, ma con la conseguenza di un debito pubblico alle stelle. Se si prendono in considerazione tutti gli aspetti della politica economica, diventa chiaro che l'euro ha avuto per circa 15 anni ormai un effetto estremamente negativo sulle economie dei paesi membri. L'introduzione della moneta unica è stata davvero un tragico esperimento, il cui prezzo i paesi membri non hanno ancora finito di pagare.



[1] Rose, A.K. (2000), « One money, one market: the effect of common currencies on trade », Economic Policy Vol. 30, pp.7-45 et Rose, Andrew K., (2001), “Currency unions and trade: the effect is large,” Economic Policy Vol. 33, 449-461.

[2] Anderson, J., (1979), “The theoretical foundation for the gravity equation,”

American Economic Review Vol. 69, n°1/1979 106-116. Deardorff, A., (1998), “Determinants of bilateral trade: does gravity work in a neoclassical world?,” in J. Frankel (ed.), The regionalization of the world economy, University of Chicago Press, Chicago.

[3] Rose, A.K., Wincoop, E. van (2001), « National money as a barrier to international trade: the real case for currency union », American Economic Review, Vol. 91, n°2/2001, pp. 386-390.

[4] Rose, A.K. (2008), « EMU, trade and business cycle synchronization », Paper presented at the ECB conference on The Euro of Ten: Lessons and Challenges, Frankfurt, Germany, 13 et 14 novembre

[5] De Grauwe, P. (2003), Economics of Monetary Union, New York: Oxford University Press. Frankel, J.A., Rose A.K. (2002), « An estimate of the effect of currency unions on trade and output », Quarterly Journal of Economics, Vol. 108, n°441, pp. 1009-25.

[6] On this topic, look up the Master 2 thesis written by one of my students, Laurentjoye T., La théorie des zones monétaires optimales à l’épreuve de la crise de la zone euro, Formation « Économie des Institutions », EHESS, Paris, septembre 2013.

[7] Frankel, J.A., Rose A.K. (1998), « The endogeneity of the optimum currency area criteria », Economic Journal, Vol.108, 449, pp.1009-1025. De Grauwe, P., Mongelli, F.P. (2005), «Endogeneities of optimum currency areas. What brings countries sharing a single currency closer together? », Working Paper Series, 468, European Central Bank, Francfort.

[8] Sapir J. (2012), Faut-il sortir de l’Euro ?, Le Seuil, Paris.

[9] Bun, M., Klaasen, F. (2007), « The euro effect on trade is not as large as commonly thought», Oxford bulletin of economics and statistics, Vol. 69: 473-496. Berger, H., Nitsch, V. (2008), « Zooming out: the trade effect of the euro in historical perspective », Journal of International money and finance, Vol. 27 (8): 1244-1260.

[10] Glick R. et A.K. Rose, (2002), « Does a Currency Union Affects Trade ? The Time Series Evidence », in European Economic Review, n° 466, pp. 1125-1151.

[11] Persson T. (2001), « Currency Unions and Trade : How Large is the Treatment Effect ? » in Economic Policy, n°33, pp. 435-448 ; Nitsch V. (2002), « Honey I Shrunk the Currency Union Effect on Trade », World Economy, Vol. 25, n° 4, pp. 457-474.

[12] Greenaway, D., Kneller, R. (2007), « Firm hetrogeneity, exporting and foreign direct investment », Economic Journal, 117, pp.134-161.

[13] Flam, H., Nordström, H. (2006), « Trade volume effects of the euro: aggregate and sector estimates », IIES Seminar Paper No. 746. Baldwin R. (2006) « The euro’s trade effects » ECB Working Papers, WP n°594, Francfort. Baldwin R. et al. (2008), « Study on the Impact of the Euro on Trade and Foreign Direct Investment », Economic Paper, European Commission, n° 321.

[14] Kelejian, H. & al. (2011), « In the neighbourhood : the trade effetcs of the euro in a spatial framework », Bank of Greece Working Papers, 136

[15] From the initial work by A.K. Rose going back to 2000 but carried out in fact between 1997 and 1999 « One money, one market: the effect of common currencies on trade », Economic Policy 30, op.cit., to the work of R. Glick and A.K. Rose, dated 2002, « Does a Currency Union Affects Trade ? The Time Series Evidence », op. cit..

[16] Bun, M., Klaasen, F. (2007), « The euro effect on trade is not as large as commonly thought», Oxford bulletin of economics and statistics, op.cit., even go so far as to estimate the « positive » effect of EMU to 3%, which puts it easily within the spread of error range of error of estimates of this kind.

[17] This is by the way the gist og a note written by P. Artus, « C’est la compétitivité-coût qui devient la variable essentielle », Flash-Économie, Natixis, n°596, 30 August 2013.

[18] Bibow J. and A. Terzi (eds), (2007) Euroland and the World Economy: Global Player or Global Drag?, New York (NY), Palgrave Macmillan.





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