30/09/12

La Spagna deve uscire dall'euro

Un lucido articolo di Jeremy Warner del Telegraph ci spiega perché la Spagna è come un serpente che si morde la coda, e Rajoy come un morto che cammina.  



La promessa di Mario Draghi di fare "tutto il possibile" per salvare l'euro sembrava poter portare a qualcosa di più che a una tregua temporanea nella tempesta; ancor meno hanno fatto l'approvazione della Corte Costituzionale tedesca del fondo di salvataggio europeo e la sconfitta degli euroscettici nelle elezioni olandesi.

E infatti la crisi dell'eurozona ha rialzato di nuovo la testa, ancor più rapidamente di quanto potessi prevedere, epicentro il ritorno ad una veloce contrazione dell'economia spagnola. Gli sviluppi politici ed economici stanno ancora una volta minacciando di combinarsi in un tempesta di fuoco incontrollabile.


Per capire perché, è necessario distruggere alcuni miti sulla natura della crisi del debito della zona euro. Alla radice non si tratta né di una
isolata crisi bancaria,  né tantomeno di una crisi fiscale, anche se è così che la propaganda politica in Europa cerca di deescriverla.

Come molti di noi hanno a lungo sostenuto, entrambi questi fenomeni non sono che i sintomi di quella che, in sostanza, è solo una
crisi di bilancia dei pagamenti bella e buona, in vecchio stile. Una crisi che è stata amplificata dall'unione monetaria, che sta anche impedendo l'attuazione di soluzioni già consolidate nel tempo. La ricerca utopica della moneta unica sta condannando l'Europa alla distruzione dell'economia. L'arroganza politica ha eclissato il buon senso economico.

Dopo l'unione monetaria, i capitali fluivano in quantità crescente dai paesi europei in surplus ai paesi in deficit; la Germania e gli altri, in sostanza, stavano prestando alla periferia il denaro per acquistare beni e servizi tedeschi. L'Unione monetaria precludeva quel tipo di disciplina dei tassi di interesse e dei tassi di cambio che normalmente serve a mantenere le cose sotto controllo.

Il denaro a basso costo ha alimentato insostenibili boom immobiliari e del credito nella periferia e ha incoraggiato i governi a spendere più di quanto avrebbero dovuto. Rispetto ai paesi del centro, i salari e i prezzi sono aumentati, rendendo questi paesi sempre meno competitivi e approfondendo il problema degli squilibri commerciali. I paesi in deficit prendevano in prestito il denaro da spendere, piuttosto che guadagnarlo.

Dall'inizio della crisi finanziaria, il processo è arretrato violentemente. Il denaro è fuggito all'improvviso dalla periferia, privandola del credito e aggravando la recessione economica. Le entrate fiscali sono crollate, causando l'aumento dei deficit di bilancio e la crisi fiscale.

Con la contrazione dell'economia è montato un problema di svalutazione crescente dei crediti, che la Spagna e gli altri devono ancora pienamente riconoscere. La fiducia nel sistema bancario ha toccato il fondo, lasciando le banche spagnole sempre più dipendenti dalle macchine di stampa della Banca Centrale Europea per finanziare i propri prestiti.

La Spagna ha bisogno di circa € 60 miliardi per ricapitalizzare le banche, ma secondo l'opinione diffusa questa è una cauta stima della vera portata del problema. Un'analisi della City valuta l'ammontare necessario a ripristinare la credibilità più vicino a € 150 miliardi, il 15% del PIL. E' commovente, ma il governo spagnolo sembra ancora pensare che gran parte di questo nuovo capitale possa essere raccolto sui mercati. In verità, le uniche due banche delle quali si possa pensare che siano lontanamente in grado di bussare al mercato dei capitali, Santander e BBVA, sono anche le uniche due che nei prossimi stress test potrebbero risultare non averne bisogno. Se anche le banche britanniche sono considerate "uninvestable", che speranza hanno le banche spagnole?

Le preoccupazioni sul fatto che la Spagna possa arrivare in fondo hanno causato ulteriori fughe di capitali, privando la Spagna degli oneri finanziari molto bassi normalmente associati ai paesi che affrontano un'inflazione repentina e una depressione. Gran parte di questo denaro è defluito in Germania, deprimendo ulteriormente il suo già basso costo di indebitamento.

Si è affermatata così una polarizzazione politicamente esplosiva, in quanto alcuni paesi devono fronteggiare costi di finanziamento rovinosamente elevati, deprimendo l'economia e inasprendo la sfida del consolidamento fiscale, mentre altri hanno costi molto bassi e quindi un notevole vantaggio competitivo.

Ci sono tre elementi nella rinnovata crisi spagnola. In primo luogo, la Spagna in quanto Stato nazionale sta manifestamente andando in pezzi sotto la pressione della disoccupazione e della paralizzante austerità, con la Catalogna che ora sta apertamente minacciando la secessione. La secolare battaglia spagnola tra le forze del regionalismo e del centralismo è ritornata a gridare vendetta.

In secondo luogo, una diabolica alleanza degli stati del Nord - Germania, Olanda e Finlandia - ha rinnegato le promesse di sostegno diretto da parte dei fondi di salvataggio europei al settore bancario spagnolo colpito dalla crisi.

Questo rende la situazione politica e fiscale a Madrid ancora più precaria. La Spagna aveva sperato che, se le banche avessero potuto essere ricapitalizzate direttamente dai fondi di salvataggio, si sarebbe potuta evitare l'umiliazione di un vero e proprio salvataggio sovrano e di un programma di riforma imposto dalla UE e dal FMI. L'accordo di vertice iniziale sembrava anche riconoscere che la crisi bancaria era separata dalla crisi fiscale sovrana, e in un certo senso era responsabilità di tutta l'Europa.

In questo modo, la Spagna avrebbe potuto evitare di accumulare un ulteriore debito sovrano per salvare le sue banche. Le banche spagnole avrebbero rappresentato una responsabilità collettiva, piuttosto che sovrana.

Ma ora sembra che i soldi per salvare le banche spagnole devono far parte di un pacchetto sovrano più ampio con garanzie e condizioni corrispondenti.

Questo ribaltamento di posizione dei paesi del Nord in surplus è stato preso come un atto di estrema malafede, non solo in Spagna ma anche in tutta la travagliata periferia dell'eurozona nel suo insieme. La fiducia nella solidarietà europea si è sbriciolata.

Infine, Mariano Rajoy, il primo ministro spagnolo, ha puntato i piedi sulla richiesta di qualsiasi forma di bail-out, nonostante l'evidente bisogno di un salvataggio, mentre l'economia spagnola scivola sempre più profondamente nella recessione e il deficit di bilancio si allarga di nuovo a doppia cifra. Ormai non c'è possibilità alcuna per la Spagna di realizzare i suoi obiettivi di bilancio.

A meno di un anno dall'essere arrivato al potere con una maggioranza schiacciante, Mariano Rajoy è già ferito a morte. Ha promesso di non chiedere mai i soldi dei contribuenti per salvare le banche. L'ha già fatto. Ha promesso di non seguire la Grecia, l'Irlanda e il Portogallo in un programma di salvataggio sovrano. Ora, oltre che lasciare l'euro, lui non ha altra scelta. Anche sul matrimonio gay, Mariano Rajoy non ha mantenuto quanto promesso.

E' stato annunciato un ulteriore pacchetto di € 40 miliardi di misure di austerità, in un tentativo disperato di ottemperare a quanto Bruxelles chiede alla Spagna e, dobbiamo supporre, ottenere in tal modo un salvataggio in qualche modo incondizionato, che consenta di salvare l'orgoglio nazionale. Queste misure sono quasi sicuramente controproducenti, perché minacciano ulteriormente di contrarre l'economia, rendendo in tal modo la riduzione del disavanzo ancora più difficile. La Spagna si morde la coda in una crisi fiscale ed economica indotta dall'austerità. Mariano Rajoy è un morto che cammina.

Oltre che lasciare l'unione monetaria e dichiarare default sui suoi debiti in euro, cosa che per il momento anche i ribelli catalani non sembrano volere, c'è una qualche via d'uscita per la Spagna? La risposta sempre più probabile sembra essere no.

L'adesione all'Unione monetaria impedisce l'attuazione di adeguate politiche monetarie ai governi periferici. La moneta unica ha anche negato all'Europa il naturale meccanismo di mercato dei tassi di cambio fluttuanti per correggere le carenze in termini di competitività e ridurre il debito estero.

C'è solo una conclusione da trarre da tutto questo: anche se i costi a breve termine potrebbero essere pesanti, la Spagna deve lasciare la moneta unica.

La Spagna è condannata se esce, ma è condannata per l'eternità se rimane. La politica dell'eurozona così com'è non offre alcuna via plausibile di ritorno alla prosperità.



3 commenti:

  1. La Spagna scoprì l'America nel 1492. Se non erro nel 1567 la Tesoreria Reale era già in default. Tanta ricchezza era finita nelle banche fiorentine, milanesi, olandesi, inglesi e tedesche. Il tutto dopo aver depredato oro e argento e distrutto intere civiltà. Quelli non hanno mai capito niente di soldi. Lasciateli affogare nel loro orgoglio.

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    1. si ma guarda che l'orgoglio Italiano finisce nello stesso cesso se non lo hai ancora capito...... Grecia, Spagna, Italia...stessa barca polli da spennare........ o credi che l'Italia sia immune?

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    2. Se chi capisce di soldi sono quelli che speculano e fanno strozzinaggio...ride bene chi ride ultimo...

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