11/01/11

Nuove regole per l'economia globale

Articolo di Dani Rodrik, sottotitolato "Strade per la prosperità": pone alcune regole per una globalizzazione dal volto umano (più semplici a dirsi che a farsi)...

Dani Rodrik è professore di Economia politica alla Harvard University's John F. Kennedy School of Government e l'autore di One Economics, Many Recipes: Globalization, Institutions, and Economic Growth.

Buona lettura:

CAMBRIDGE 2011-01-10
Supponiamo che i responsabili politici mondiali si incontrassero di nuovo a Bretton Woods, nel New Hampshire, per progettare un nuovo ordine economico mondiale. Sarebbero naturalmente preoccupati dei problemi di oggi: la crisi della zona euro, la ripresa globale, la regolamentazione dei mercati, gli squilibri macroeconomici internazionali, e così via. Ma queste problematiche richiederebbero che i leader riuniti superassero se stessi e prendessero in considerazione la solidità delle intese economiche globali.
Ecco i sette principi di buon senso della governance economica mondiale che potrebbero condividere. (Li ho discussi più in dettaglio nel mio nuovo libro, Il paradosso della globalizzazione).

1. I mercati devono essere profondamente integrati dentro sistemi di governance. L'idea che i mercati si auto-regolano con la recente crisi finanziaria ha ricevuto un colpo mortale, e dovrebbe essere seppellita una volta per tutte. I mercati richiedono il sostegno di altre istituzioni sociali. Essi devono basarsi su tribunali, norme giuridiche, e organi di controllo sull' applicazione delle regole. Essi dipendono dalle funzioni di stabilizzazione svolte dalle banche centrali e dalla politica fiscale anticiclica. Hanno bisogno di politiche di fiscali redistributive, reti di sicurezza sociale, e assicurazione sociali. E tutto questo è vero anche per il mercato globale.

2. Per il futuro prossimo, la governance democratica deve essere organizzata in gran parte all'interno delle comunità politiche nazionali. Lo Stato nazione rimane sostanzialmente l'unico gioco in città. La ricerca di una governance globale è una presa in giro. I governi nazionali non dovrebbero cedere un potere significativo a istituzioni transnazionali, e le regole di armonizzazione non gioverebbero a società con diverse esigenze e preferenze. L'Unione europea può essere forse l'unica eccezione a questo assioma, anche se la sua crisi attuale tende a dimostrare il contrario.

Troppo spesso utilizziamo male la cooperazione internazionale, su obiettivi troppo ambiziosi che poi producono deboli risultati. Quando la cooperazione internazionale ha "successo", genera regole che o sono velleitarie, o riflettono gli interessi degli Stati più potenti. Le regole di Basilea sui requisiti patrimoniali e le norme del World Trade Organization sui sussidi, sulla proprietà intellettuale e sugli investimenti sono un tipico esempio di questo tipo di sopraffazione. Dovremmo migliorare l'efficienza e la legittimità della globalizzazione, sostenendo piuttosto che paralizzando le procedure democratiche interne agli Stati.

3. Prosperità pluralista. Riconoscere che l'infrastruttura istituzionale di base dell'economia globale deve essere costruita a livello nazionale lascia i paesi liberi di sviluppare le istituzioni che più si adattano al loro caso. Gli Stati Uniti, Europa e Giappone hanno prodotto più o meno la stessa quantità di ricchezza nel lungo periodo. Eppure i loro mercati del lavoro, le istituzioni di governo, le norme antitrust, di protezione sociale, ed i sistemi finanziari differiscono notevolmente.
Le società del futuro sapranno lasciare spazio per la sperimentazione e per consentire ulteriori evoluzioni delle istituzioni. Un'economia globale che riconosce la necessità e il valore della diversità istituzionale favorirebbe piuttosto che soffocare tale sperimentazione ed evoluzione.
4. I paesi hanno il diritto di proteggere i propri regolamenti e istituzioni. I principi precedenti possono sembrare innocui. Ma essi hanno implicazioni potenti che si scontrano con la saggezza dei sostenitori della globalizzazione. Una di ueste conseguenze è il diritto dei singoli paesi di salvaguardare le loro scelte istituzionali nazionali. Riconoscere la diversità istituzionale sarebbe privo di senso se i paesi non avessero a disposizione gli strumenti per "proteggere" le loro istituzioni.

Dobbiamo quindi accettare che i paesi possano avere norme nazionali - politiche fiscali, regolamentazioni finanziarie, norme sul lavoro, o sulla salute dei consumatori e norme di sicurezza - e possano farlo anche creando barriere alle importazioni, se necessario, quando il commercio minaccia palesemente le pratiche domestiche che godono di ampio sostegno popolare . Se le richieste della globalizzazione sono giuste, le esigenze di protezione falliranno per mancanza di prove o di sostegno. Se sbagliate, ci sarà una valvola di sicurezza per garantire che i valori contendenti - i benefici delle economie aperte contro il beneficio di sostenere le normative nazionali - ricevano entrambi ampio spazio nei dibattiti pubblici.

5. I paesi non hanno il diritto di imporre le loro istituzioni agli altri. Utilizzare le restrizioni al commercio internazionale o i finanziamenti a sostegno delle regole e dei valori domestici, non è la stessa cosa che utilizzarle per imporre questi valori e regolamenti agli altri paesi. La globalizzazione non dovrebbe forzare gli americani o gli europei a consumare merci che vengono prodotte in modi che la maggior parte dei cittadini di quei paesi considerano inaccettabili. Ma né deve permettere agli Stati Uniti o all'Unione europea di utilizzare le sanzioni commerciali o altre pressioni per alterare le regole del mercato del lavoro, le politiche ambientali, o i regolamenti finanziari degli altri paesi. I paesi hanno il diritto alla differenza, non a una convergenza imposta.

6. Gli accordi economici internazionali devono stabilire norme per la gestione delle interazioni tra le istituzioni nazionali. Basarsi su Stati nazionali per assicurare le funzioni essenziali di governance dell'economia mondiale non significa che dobbiamo abbandonare le regole internazionali. Il regime di Bretton Woods, dopo tutto, aveva regole chiare, benché di una portata e profondità limitata. Una completa decentralizzazione free-for-all non gioverebbe a nessuno.

Ciò di cui abbiamo bisogno sono delle regole del traffico per l'economia globale in cui i veicoli di varie dimensioni, forma, e velocità possano viaggiare l'uno accanto all'altro, piuttosto che imporre un unico veicolo o un limite di velocità uniforme. Dobbiamo adoperarci per raggiungere la globalizzazione massima compatibile con il mantenimento di uno spazio per la diversità delle norme nazionali in materia istituzionale.


7. I paesi non-democratici non possono contare sugli stessi diritti e privilegi delle democrazie nell'economia internazionale. Ciò che rende interessanti e legittimi i principi precedenti è che sono basati su deliberazioni democratiche - quando questa democrazia è effettiva e reale all'interno degli Stati nazionali. Quando gli Stati non sono democratici, questa impalcatura crolla. Non possiamo più presumere che le istituzioni riflettano le preferenze dei cittadini. Quindi, le non democrazie hanno bisogno di regole diverse, meno permissive.

Questi sono i principi che gli architetti del prossimo ordine economico globale devono accettare. Soprattutto, devono comprendere il paradosso che ognuno di questi principi rende evidente: la globalizzazione funziona al meglio quando non si spinge troppo oltre.


http://www.project-syndicate.org/commentary/rodrik52/English





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